Filippo Venzon – Volontario Alpino del Cadore nella Grande Guerra
Questa è la storia di mio nonno, un uomo, un giovane, che non ha avuto la fortuna di progettare un grande futuro, ma che ha messo in conto la propria vita per gli altri.
Filippo Venzon nasce il 27 luglio 1892 da Giovanni e Pierina Mazzorana a Polpet (Ponte nelle Alpi); di professione è stato prima fabbro e poi scalpellino in una bottega di marmista.
E’ chiamato alla leva nel dicembre 1912. Dopo neanche due mesi viene riformato in seguito “a rassegna, con determinazione dell’Ospedale militare principale di Padova“, e quindi congedato.
Nonostante questo, nel giugno 1915 lascia la sua attività e si arruola nel Corpo Volontari Alpini del Cadore, al comando del Capitano Celso Coletti.
Fra giugno e luglio 1915 è già inviato in zona di guerra, da Cima Sappada al Passo Cacciatori, in alta Val Sesis, dove i Volontari hanno i primi contatti a fuoco con il nemico. E’ poi dislocato con la Compagnia ai Laghi d’Olbe, dove rimane fino a giugno 1916. C’è poi il trasferimento verso Costa Zucco e Val Visdende.
Il 19 giugno 1916 fa parte di una pattuglia di 18 uomini inviata in ricognizione verso Croda Nera. La marcia è ostacolata dalla luce dei riflettori nemici che batte ad intervalli la zona, da percorrere tutta allo scoperto. Sono quindi obbligati a camminare a sbalzi e carponi per non essere visti e su un terreno ripidissimo e sdrucciolevole. Non tutti riescono a raggiungere le posizioni e, rimasti in 9, non possono tentare l’attacco alla cima ma si limitano a distruggere un tratto di reticolato; il gruppo tenta l’assalto ad una baracca, occupata da soldati ungheresi, ma le forze sono esigue e l’unica azione fattibile è un lancio di bombe a mano lenticolari. Per questa azione riceve un Encomio Solenne, assieme al gruppo di commilitoni.
A metà agosto 1916 è trasferito con la Compagnia verso il Passo Tre Croci, poi Som Forca ed infine a Ponte Stombi, nella zona del Monte Forame (propaggine Nord-Occidentale del Monte Cristallo, che sovrasta la località di Cimabanche).
Con un gruppo di 16 Volontari, il 29 agosto è impegnato nell’azione in cui viene occupato il 1° Salto del Forame. I Volontari, con grida e lancio di bombe a mano, simulano un attacco in forze a tergo della postazione nemica, gettando in essa lo scompiglio. Il nemico sconcertato si sbanda e la Fanteria, che segue, può occupare la posizione con danni minimi, facendo 120 prigionieri con 3 ufficiali.
Il 3 settembre 1916 partecipa all’ardita operazione per la conquista della Punta Ovest del Forame, con inizio dalla Cengia Superiore dove sono formate quattro squadre, fra Volontari Alpini e alpinisti del 91° Reggimento Fanteria.
Per l’azione principale il Capitano Celso Coletti da l’incarico al tenente Arduino Polla che sceglie 17 Volontari. Carichi di bombe salgono al Foro Triangolare; da qui si portano sotto la parete che sostiene la Balza Superiore e la scalano; poi dalla Balza Superiore risalgono lo strapiombo di una sessantina di metri sopra la quale era la postazione nemica del Panettone, subito sotto la Punta Ovest del Forame. Giunti al ciglio, il tenente Polla chiama a se i Volontari: “Ora bisogna essere pronti per l’assalto”. E, volto al Volontario Filippo Venzon: «Tu – prosegue – ti prendi i Volontari Giacomo Miot, Giovanni Caldart, Antonio Tabacchi e Luigi Zangrando e tutti cinque andate dritti verso quel punto li della trincea, vedi? Senza far rumore. Quando sarete lì, vedrete le sentinelle e le prenderete a fucilate. Non preoccupatevi se non vedrete i vostri compagni, perché io con essi agirò da un’altra parte».
Sono le 2 di notte.; Venzon e i suoi quattro commilitoni si levano gli scarponi per non fare rumore e, con il fiato sospeso, senza fiatare, si portano adagio adagio a breve distanza dalle vedette; poi, ancora più avanti, strisciando. Sono sul versante rivolto a sud, il più difficile e quello dal quale gli austriaci non si sarebbero mai aspettati l’attacco. Da una lettera di Filippo Venzon si legge: «… Presi nuovi accordi a pochi passi dal nemico eravamo decisi di riuscire nell’impresa o morire …».
I cinque devono dare il segnale d’attacco, iniziando a sparare e a lanciare bombe a mano, e subito dopo il resto della squadra avrebbe investito la posizione di vetta. Le vedette austriache sono accoppiate. Due cappotti turchini, lì, rigidi, inconsci di quel che sta per succedere, si disegnano sullo sfondo grigio e scuro del cielo. Due colpi: i cappotti s’afflosciano e le sentinelle rotolano nel burrone. Le altre vedette danno l’allarme e il presidio accorre verso quella parte, ma il Polla con gli altri dodici, al grido di “Savoia” e “Battisti”, balza come fuori dalle tenebre su un fianco della lunetta nemica, travolge le vedette di quel posto, salta sopra i ripari e piomba sul tergo dei difensori assonnati e confusi. All’alba del 3 settembre la Punta Ovest del Forame è presa al prezzo di un solo ferito. L’occupazione viene poi estesa anche alla Punta Est del Forame.
Gli austriaci scatenano subito un intenso fuoco contro gli italiani, ma i Volontari respingono gli attaccanti, uccidendone 12 fra cui un ufficiale. L’operazione è stata rapidissima. Per i cinque della pattuglia di testa, fra cui c’è Filippo Venzon, è proposta la medaglia d’argento, ma ricevono solo quella di bronzo.
Dopo le azioni sul Forame ed un periodo di riposo, Venzon con il resto della Compagnia è trasferito nella zona del Monte Popera, in particolare alla Croda Rossa di Sesto, località Cavernette e Forcella U, a poca distanza dal Passo della Sentinella, con vie d’accesso ripidissime e molto aspre, e circa 400 m di scale di corda da risalire.
L’inverno si prospetta terribile e con una grande quantità di neve, per cui stentano ad arrivare le corvée per i rifornimenti. Il 29 novembre 1916, Filippo Venzon è ferito in più parti dalle schegge di un proiettile di bombarda, caduto a Forcella U. Trasferito all’ospedale da campo con fatica, a causa della neve, viene inviato in licenza di convalescenza per un mese, ma nei primi giorni di febbraio del 1917 è già di ritorno alle postazioni dei Volontari. Le schegge gli rimangono conficcate nelle gambe per tutta la vita.
L’inverno 1916-1917 è stato veramente eccezionale in questa regione montuosa, sia per il precoce inizio della neve stabile a settembre sia per l’altezza raggiunta, ma i Volontari Alpini trovano il modo e la forza d’animo per non lasciarsi abbattere. A questo proposito, Filippo Venzon è protagonista di un simpatico episodio, raccontato da uno dei ragazzi del ’99 di Belluno, appena arrivati in prima linea nell’aprile del 19171: «… Ricordo che la sera che giunsi alla forcella, assieme agli ultimi Volontari arruolati, tutti diciassettenni, non c’era, nel baracchino, nessun posto libero. L’affare era serio. Ci fu un Volontario di Belluno il quale, borbottando fra il sonno, si alzò, prese su il suo pastrano e il suo sacco a pelo e indicandoci il suo posto rimasto vuoto, ci disse che ci si riposasse. Se ne andò fuori e, tranquillamente, col badile, si scavò una buca nella neve e si addormentò placidamente. Da allora, e per un pezzo, quella buca era diventata quello che i Volontari chiamavano il “tinèlo” di Pippo. Perché quel Volontario, che ci aveva dato modo di dormire in quella prima nostra notte di trincea, era proprio l’attuale scultore di via Feltre, Pippo Venzon …».
1L’episodio è narrato dal giovanissimo V.A. Fernando Zanon di Belluno ed è stato pubblicato nel Gazzettino del 12 settembre 1930.
Nel giugno 1917 lascia il territorio dichiarato in stato di guerra perché ammesso a frequentare il corso allievi alpinisti ufficiali presso il 24° Reggimento Fanteria, ma dopo circa due mesi, l’8 agosto 1917 è di nuovo al Reparto, su ordine n. 10277 del Comando Supremo. Nel suo foglio matricolare non si fa cenno alle motivazioni per partecipare a questo corso, né per il rientro a così breve termine. Venzon è rimasto comunque soldato semplice, anche se probabilmente aveva buone abilità alpinistiche e forse anche di comando.
Rimane sulla Croda Rossa fino all’ottobre 1917, quando tutti i reparti in zona iniziano il ripiegamento a seguito della disfatta di Caporetto. All’altezza di Pieve di Cadore i Volontari ricevono l’ordine di presidiare alcune forcelle nel gruppo Cridola – Monfalconi e nel gruppo delle Marmarole, per evitare infiltrazioni ed aggiramenti degli austro-tedeschi alle truppe italiane in ritirata. Nel risalire la Val Talagona, verso il Rifugio Padova, vengono dislocati diversi “posti di corrispondenza”, il primo dei quali, presso il ponte di Vallesella, è presidiato da alcuni uomini al comando di Filippo Venzon.
Per il precipitare della situazione, viene dato ordine di ripiegare a tutti i reparti. I Volontari riescono a superare indenni Longarone e ad evitare l’accerchiamento delle truppe nemiche comandate da Erwin Rommel, scese dalla valle del Vajont. Con quel che resta della Compagnia Volontari Alpini del Cadore, il 14 dicembre 1917 Venzon viene inviato sull’Archeson nel massiccio del Grappa, dove sono impegnati più che altro in lavori per le strade di collegamento.
In questo contesto mette a frutto le sue capacità professionali, purtroppo in un triste evento: «Il giorno 8 aprile 1918, per lo scoppio anticipato di una mina, muore il V.A. Attilio Pampanin di S.Vito che viene sepolto nel cimitero di Fietta (località del Comune di Pieve del Grappa) e il compagno Filippo Venzon, che da civile faceva il marmista, realizza un piccolo monumento che viene posto sulla sua tomba».
Il 26 maggio 1918 il Reparto, a cui nel frattempo sono stati uniti i resti dei V.A. di Feltre, viene trasferito in Valtellina con il 3° Raggruppamento Alpini ed occupa prima le Pale Rosse (zona del Gran Zebrù) e poi la 4a cantoniera dello Stelvio. Nonostante le ripetute richieste del Capitano Coletti di rientrare nel Veneto, il Reparto dei Volontari giunge in treno a Montebelluna il giorno 8 novembre 1918, a guerra oramai conclusa.
Il comportamento in guerra di Filippo Venzon è sempre improntato a grande ardimento: basterà ricordare la sua partecipazione alla conquista del 1° Costone e della Punta Ovest del Monte Forame.
Finita la guerra sposa Maria Peterle ed ha tre figlie, Carla, Renata ed Itala.
Avvia a Belluno un’azienda di lavorazione della pietra e del marmo, in via Feltre, dove attualmente c’è la Trattoria da Gino (sotto la vecchia insegna Caffé Belluno). Opere sue sono, tra l’altro, il monumento ai caduti presso il municipio di Santa Giustina (BL), quello celebrativo del 7° Reggimento Alpini presso la Caserma Salsa di Belluno e la lapide-monumento ai caduti di Villa di Villa (BL) nella Piazzetta San Nicolò, di fianco alla chiesa.
Dopo un periodo di lavoro trascorso in Etiopia degli anni trenta, interrotto a causa dello scoppio del secondo conflitto mondiale, ritorna a Belluno dove in seguito è assunto presso il Genio Civile.
Muore a Belluno il 9 settembre 1961.
UN VOLONTARIO ALPINO RACCONTA
Lettera di Filippo Venzon diretta a Don Piero Zangrando, cappellano militare del Val Piave, in cui narra i giorni più ardui vissuti sul Monte Forame (fu data da Don Piero Zangrando ad Antonio Berti, compilatore dei commenti al “Diario di Guerra” del Capitano Coletti, quando era ancora inedita; venne successivamente pubblicata nel Gazzettino del 23 maggio 1926 e, tre anni dopo, anche in: Dupont, Gli Alpini, Roma, 1925, pag. 85).
«Dopo parecchi e infruttuosi attacchi da parte di truppe alpine all’impervio Monte Forame, la sera del 2 settembre i V.A. del Cadore ebbero l’ordine dal “terribile” (parola cancellata nel manoscritto) magg. Neri, comandante delle operazioni, di prendere il Forame o morire.
Al comando del capitano Celso Coletti ci accingemmo all’eroica impresa. Tredici V.A. dei più volenterosi, comandati dalla medaglia d’oro Polla, si mettevano in marcia per il Costone alto Forame, donde si doveva, di sorpresa, prendere la Punta Ovest per liberarne il gruppo.
Arrivati a destinazione, dopo un breve riposo, il valoroso Polla ci diede ordine di prepararci per l’attacco.
Levatemi le scarpe, mi metto in marcia con quattro volontari. Erano le 2 di notte del 3 settembre e, protetti dall’oscurità, di balza in balza, di roccia in roccia, ci portiamo a pochi metri dalle vedette nemiche seguiti da Polla con gli altri volontari.
Presi nuovi accordi a pochi passi dal nemico eravamo decisi di riuscire all’impresa o morire.
Io con i volontari Miot, Caldart, Zangrando e Tabacchi, dovevamo dare il segnale dell’attacco a mezzo di fucilate e bombe; Polla con i suoi doveva avvolgere, subito dopo l’allarme, con mossa rapida, la punta.
Ben disposti a morire, ma più che a morire a vincere, i Volontari attendono ad individuare bene le vedette ed il covo dei nemici, sicuri di non essere disturbati.
Due sentinelle sopra un grande masso a pochi metri, ben armate, guardavano bene il passo, ma ecco che cinque volontari spiano, scrutando, ed appena le vedono spianano il fucile: partono i colpi infallibili e le sentinelle rotolano nel burrone, vittime del proprio dovere.
Un lampo: 13 volontari comandati da Polla con rapidità fulminea al grido di Savoia e Battisti, sono sopra gli altri 20 austriaci ed in un momento anche questi sono finiti, anche loro vittime della causa austriaca che non ritornerà più.
Così all’alba del 3 settembre i Volontari Alpini cantano la loro canzone vittoriosa con un solo ferito.
La mattina seguente il ten. Polla fa la consegna della posizione e il gruppo dei valorosi, a gruppetti di due, inizia il ritorno in sede contento del dovere compiuto per la Patria.
Ma ecco che il nemico inizia col tiro dei suoi cannoni e delle sue mitraglie un fuoco d’inferno sulla posizione perduta e lo continua per giorni e giorni, martoriando le nostre truppe che dovevano lottare anche contro gli elementi avversi del tempo; e così, la sera dell’8 settembre, i Volontari sono chiamati di rinforzo, e pronti al comando del loro capit. Coletti si portano in posizione in attesa dell’urto nemico che si prevedeva formidabile.
Alle due di notte, sotto una tormenta indescrivibile di neve, ecco le prime pattuglie nemiche di Kaiserjäger avanzarsi per l’attacco.
Pronti i Volontari Alpini con gli altri alpini a riceverli: una selva affiancata di baionette, pronti in tutto e per tutto. Cinque ore di formidabile attacco, cinque ore di formidabile resistenza ed ecco, all’alba, una spianata di nemici rasi al suolo.
Sublimi i nostri soldati, in special modo un vecchio V.A., Umberto Soravia di Perarolo, che rimasto ferito gravemente ad una spalla non volle abbandonare il posto di combattimento finché la vittoria non ci arrise».
Stefano Reolon